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Portello Factory stories: “l’Alfa Romeo e la Mille Miglia”

Portello Factory stories: “l’Alfa Romeo e la Mille Miglia”

Portello Factory stories: “l’Alfa Romeo e la Mille Miglia”

La storia dell’Alfa Romeo in quella che viene considerata la corsa più bella del mondo, la Mille Miglia, raccontata attraverso una mostra delle vetture del Museo Dinamico Scuderia del Portello, dal 1982 la Squadra Corse Ufficiale delle Alfa Romeo storiche da competizione, messe a disposizione da alcuni collezionisti del sodalizio di Arese. La mostra si è tenuta presso Il Centro di Arese proprio durante i giorni in cui si è svolta la rievocazione storica della 1000 Miglia 2019.
A una settimana dalla partenza della 1000 Miglia 2020 e in occasione dei 110 anni di Alfa Romeo, ripercorriamo la storia di questa gara, diventata leggenda, illustrando con immagini dell’epoca le imprese condotte dai piloti e dalle vetture del Biscione dalla prima edizione del 1927 all’ultima del 1957.

L’allestimento con testi e immagini della mostra, curata da Il Centro e Scuderia del Portello, è stato realizzato in collaborazione e con il contributo iconografico del Museo Mille Miglia, del Centro Documentazione del Museo Storico Alfa Romeo e di 1000 Miglia.

I QUATTRO MOSCHETTIERI DELLA MILLE MIGLIA
Così sono ricordati i fondatori della leggendaria corsa “COPPA DELLE 1000 MIGLIA”
Conte Franco Mazzotti Biancinelli
Conte Aymo Maggi
Giovanni Canestrini
Renzo Castagneto

L’idea della corsa nacque alla fine del 1926, quando i quattro amici si riunirono a Milano in casa di Giovanni Canestrini per definire i dettagli del loro sogno di creare un evento che si svolgesse sulle strade italiane per risollevare l’interesse del pubblico alle gare automobilistiche e far tornare Brescia la “culla  dell’automobilismo sportivo”.Scopo della riunione era anche quello di trovare un nome importante da dare all’evento.
Si racconta che, avendone definito il percorso da Brescia a Roma e ritorno a Brescia, la cui lunghezza era di 1600 chilometri, Franco Mazzotti, che era stato di recente negli Stati Uniti, propose il nome di “Mille Miglia” (che corrispondono a 1600 chilometri).
Quindi, tutti e quattro d’accordo decisero il nome della corsa: COPPA DELLE 1000 MIGLIA.
Il 26 marzo 1927 alle ore otto del mattino, con la partenza da Brescia della vettura n° 1, un’Isotta Fraschini di Aymo Maggi e Bindo Maserati, iniziò l’avventura della “Freccia Rossa”, definita ancora oggi “la corsa più bella del mondo”.
Ideata come gara unica di velocità, non a tappe, la corsa si svolse in 24 edizioni fino al 1957.
Il 1938 fu segnato da un grave incidente a Bologna, dove una vettura uscì di strada e finì sulla folla causando dieci vittime e diversi feriti. In seguito a tale sciagura il capo del governo, Benito Mussolini, decise di non concedere più l’autorizzazione per gare di corsa su strade pubbliche.
Nel 1940 si riuscì a organizzare una nuova gara, ufficialmente denominata Gran Premio di Brescia, che consisteva in una corsa a circuito triangolare che toccava le città di Brescia, Mantova e Cremona. Il circuito prevedeva nove giri in modo da raggiungere la lunghezza di circa 1000 miglia.
Tra il 1941 e il 1946 la corsa non si disputò a causa della partecipazione dell’Italia alla Seconda guerra mondiale e riprese il 21 giugno del 1947.
Nel 1957 un altro fatale incidente, avvenuto in provincia di Mantova, costò la vita ai piloti e a nove spettatori, per cui la corsa venne definitivamente soppressa.
Dal 1977 la Mille Miglia rivive sotto forma di gara di regolarità per auto d’epoca. La partecipazione è limitata alle vetture, prodotte non oltre il 1957, i cui modelli avevano partecipato (o risultavano iscritti) alla corsa originale.

Sin dalla prima edizione del 1927, fino all’ultima del 1957,  l’Alfa Romeo ha preso sempre parte alla corsa schierando un totale di 86 modelli e vincendo l’assoluto per ben 11 volte: questi numeri rendono indiscutibilmente le vetture del Biscione le grandi protagoniste di questa corsa diventata leggenda.

Coppa delle 1000 Miglia
26-27 marzo 1927

Modesta fu la partecipazione straniera (solo tre piloti sulle minuscole Peugeot  della classe H, fino a 750 cc), mentre s’iscrissero alla manifestazione i migliori piloti italiani oltre ad alcuni personaggi pubblici, quali Leandro Arpinati, podestà di Bologna e presidente dal 1926 della Federazione Italiana Gioco Calcio. Alle 8 del 26 marzo, all’ordine del mossiere Augusto Turati, segretario del Partito nazionale fascista, le automobili concorrenti, con in testa la Isotta Fraschini 8A SS di Aymo Maggi e Bindo Maserati, presero il via da viale Venezia a due minuti di distanza l’una dall’altra, per le classi fino alla C, mentre per le successive il distacco fu ridotto a un solo minuto. Si racconta che almeno 25.000 militi furono schierati lungo il percorso per tenere a bada gli spettatori sul ciglio della strada, grossa preoccupazione che agitava gli organizzatori, mentre sulle strade aperte al normale traffico i piloti, da regolamento di gara, avrebbero dovuto “osservare il regolamento di Polizia Stradale”. La maggior potenza delle Alfa permise a Brilli-Peri di eccellere in pianura, raggiungendo Bologna alla media di 106,5 km/h con quattro minuti di vantaggio su Minoia (OM) e cinque su Marinoni (Alfa), e di amministrare poi il distacco, arrivando a Roma, dopo un percorso di 587 km, alla media eccezionale per le strade dell’epoca di 88 km/h, con un vantaggio di quasi 14 minuti su Minoia. I maggiori problemi furono creati dallo stato delle strade e dalla resistenza dei pneumatici. Alla fine della corsa Strazza avrebbe cambiato sei pneumatici e tre ciascuno i fratelli Danieli e Maggi. Brilli-Peri aveva, tuttavia, chiesto troppo alla meccanica della sua RL SS e dopo Spoleto dovette fermarsi per la fusione delle bronzine del motore. La corsa terminò con la vittoria delle tre OM in fila, vincitrici anche della “Coppa Brescia”, davanti alle Lambda di Strazza e Pugno e alla ingombrante Isotta di Aymo Maggi. Arturo Mercanti, direttore dell’Automobile Club di Milano e celatosi sotto lo pseudonimo di Frate ignoto, salvò l’onore dell’Alfa giungendo settimo assoluto con una RL SS. Stupì la media tenuta dal vincitore. Gli organizzatori avevano stabilito un tempo massimo basato su una media di 49 km/h per le vetture della classe B e di 30 km/h per quelle della G (fino a 1.100). Commentava il «Corriere della Sera»: “Poco più di venti ore, nemmeno un giorno e una notte per compiere quasi 1.700 chilometri: una media che supera i 77 orari. Un treno direttissimo sarebbe stato largamente battuto. L’automobile è passata per le strade di mezza Italia come un dominatore di tempo e di spazio. Il successo del mezzo meccanico appare dunque grandioso, come appare bellissima la vittoria conquistata dagli uomini che hanno saputo audacemente condurlo e saggiamente disciplinarlo”.

II Coppa delle 1000 Miglia
31 marzo – 1 aprile 1928

Si racconta che Augusto Turati, il giorno dopo la conclusione della Coppa delle 1000 Miglia abbia fatto una lunga relazione sulla gara a Benito Mussolini, il quale pare abbia risposto con un sintetico “Si ripeta”. Ottenuta così, per la seconda volta, l’approvazione del capo del Governo ci si apprestò per l’organizzazione della II Coppa delle 1000 Miglia del 1928. Sembra, infatti, che l’idea dei “quattro moschettieri” non fosse quella di trasformare la manifestazione in una gara annuale. Nonostante la difficile situazione economica generale, le Case costruttrici risposero approntando nuovi modelli che meglio si adattassero alla difficoltà del percorso. In Francia Ettore Bugatti realizzò il modello T43, ottenuto abbinando il motore T35 C a compressore con un telaio lungo della formula Corsa. Furono affidate a Gastone Brilli-Peri, Pietro Bordino e a Tazio Nuvolari, che nella prima edizione era giunto decimo assoluto al volante di una modesta Bianchi. Il suo futuro grande rivale Achille Varzi si era iscritto, invece, con una Bugatti T35 privata. L’Alfa Romeo aveva presentato la nuova 6C 1500 SS con il motore a doppio albero a camme in testa dotato, nell’esemplare affidato a Ramponi, anche di un compressore centrifugo. Il progettista Vittorio Jano aveva fatto arretrare il motore di 20 cm rispetto alla versione di serie per migliorarne la ripartizione dei pesi e la tenuta di strada. La ricerca delle massime prestazioni da parte dei Costruttori era confermata dalla Maserati 26B MM condotta da Aymo Maggi ed Ernesto Maserati: una formula Corsa sommariamente adattata all’uso stradale. Ultime a partire da viale Venezia furono le vetture della classe C con la squadra delle tre Chrysler 72, una delle quali affidata a Emilio Materassi e un’altra alla baronessa Maria Antonietta Avanzo, prima donna alla Mille Miglia, in coppia con il barone Manuel De Teffé, figlio dell’ambasciatore brasiliano a Roma. Le vetture statunitensi, che si sarebbero comportate molto bene quell’anno a Le Mans, avevano, come avversarie, due conterranee La Salle, affidate nientemeno che a Minoia e a Mario Danieli, e una francese Lorraine-Dietrich B3-6, vettura che aveva battuto la OM a Le Mans nel 1926. Dopo la sfuriata iniziale delle Bugatti ufficiali, ai primi tre posti a Bologna con Nuvolari in testa alla media di 124 km/h, fu l’Alfa Romeo di Campari, favorita dai guai delle francesi, a passare prima al controllo di Roma con cinque minuti di vantaggio su Nuvolari. Sfortunato fu Gismondi con la Lancia, secondo assoluto dal controllo di Tolentino fino al ritiro nei pressi di Rovigo. La sua posizione fu rilevata dalla OM di Franco Mazzotti e Archimede Rosa che la mantennero fino a Brescia. Battuti, largamente, tutti i primati della competizione. Vittoria dell’Alfa Romeo nel Gran Premio Brescia a squadre.

III Coppa delle Mille Miglia
13-14 aprile 1929

La crescente crisi economica impedì la partecipazione di squadre straniere alla terza edizione della Coppa delle Mille Miglia. Baconin Borzacchini, assoldato dai fratelli Maserati per condurre una 26B MM che la stampa dell’epoca vuole sia stata dotata di un motore di 1.700 cc, si schierò con la vettura più potente della classe E (fino a 2.000 cc) dove esordivano anche le nuove Alfa Romeo 6C 1750 SS a “testa fissa”, soluzione adottata dall’ingegner Jano per ovviare alle bruciature della guarnizione della testa. Da segnalare anche la Fiat 521 Siata di Giorgio Ambrosini, manager della Casa di preparazioni sportive torinese, e di Piero Dusio, futuro creatore della Cisitalia. Aumentò, in compenso, la partecipazione femminile: oltre alla baronessa Avanzo, prese la partenza con una Lancia Lambda berlina anche l’attrice Mimì Aylmer – pare amata da Umberto di Savoia e poi da Galeazzo Ciano – che si classificò brillantemente all’undicesimo posto nella classe D (fino a 3.000 cc). Unica novità regolamentare fu l’estrazione a sorte del numero di gara delle vetture delle classi da F a C, riunite in un unico gruppo da 1.101 a 5.000 cc, anche se con classifiche di classe separate. Non è chiara la motivazione, ma è probabile o un altro colpo d’ingegno degli organizzatori per mantenere vivo l’interesse degli spettatori per tutto l’arco dei passaggi, o un tentativo di evitare comportamenti anti-sportivi da parte di qualche squadra. Borzacchini (Maserati) prese subito la testa, precedendo Campari, Varzi, Brilli-Peri e Bornigia con le Alfa 1750, seguiti dalla OM di Morandi e Rosa, alleggerita e potenziata da un motore con compressore Cozette. A Bologna, Borzacchini segnava il nuovo record alla media di 127,266 km/h e manteneva la testa fino a Roma dove giungeva in 6.23’ (altro nuovo record) con tre minuti esatti di vantaggio sul più paziente Campari, che ne attendeva il probabile ritiro vista l’esperienza l’anno precedente della Bugatti di Gastone Brilli-Peri. Per ironia della sorte Borzacchini fu costretto al ritiro proprio a Terni, sua città natale, e la lotta per il primato assoluto ebbe termine. Come negli anni precedenti brillante fu il comportamento della Lancia con Strazza, che era risalito al secondo posto a Spoleto, mantenendolo fino ad Ancona. Poi non era riuscito a resistere alla rimonta della OM di Morandi e quindi della 1750 SS di Varzi che lo superava in classifica nel tratto finale da Feltre a Brescia. La pioggia, caduta a tratti, permise il miglioramento dei record precedenti solo nelle classi E e D. Vi è da notare, però, che i primi nove classificati nella classifica assoluta migliorarono il record stabilito da Campari-Marinoni nel 1928. Il GP Brescia a squadre fu vinto dall’Alfa Romeo per il secondo anno consecutivo.

Mille Miglia del 1950 per la Coppa “Franco Mazzotti”
23 aprile 1950

Per la sua diciassettesima edizione la gara, scaramanticamente, mutò denominazione, assumendo quella di “La Mille Miglia del 1950 per la Coppa Franco Mazzotti”. Purtroppo questo sotterfugio non fu sufficiente ad allontanare i moltissimi incidenti, i guai e le polemiche, inevitabili viste le dimensioni raggiunte dalla gara che annoverò ben 375 vetture alla partenza. Si iniziò, infatti, a parlare con insistenza di sicurezza della gara, viste le semplici formalità, burocratiche e amministrative, con le quali chiunque in possesso di una vettura e di una licenza internazionale di corridore poteva iscriversi alla manifestazione. Bastava compilare, infatti, un modulo in duplice copia e pagare 15.000 lire, tassa di iscrizione che comprendeva anche la copertura assicurativa, fornita gratuitamente dall’organizzatore. Era, tuttavia, questo il sistema per avere nel 1950 ben 116 Fiat 500  allineate per la partenza, oltre a 52 iscritti nella classe Turismo fino a 1100 e 36 in quella oltre 1100 cc. Delle 375 vetture che presero la partenza, nuovo record della manifestazione, ben 204, pari a quasi il 55%, erano quindi vetture strettamente di serie e alimentate con benzina a basso numero di ottano. Ma uno sguardo più attento alle medie tenute dai vincitori delle classi delle più piccole della categoria Turismo avrebbe evidenziato che queste erano, fatto singolare, confrontabili con le velocità massime indicate dalle Case costruttrici. Nuovo fu il percorso, di una lunghezza prossima ai 1600 chilometri, compiuto scendendo da Brescia verso Roma lungo la costa adriatica e risalendo lungo quella tirrenica in senso orario. La gara poteva essere una sfida tra la Ferrari e l’Alfa Romeo, che era tornata alle competizioni partecipando al primo Campionato del Mondo di F.1. Ma la Casa milanese, che aveva costruito un’evoluzione con cilindrata maggiorata a 3000 cc della berlinetta Competizione dell’anno precedente, con una scelta suicida decise di affidarla al pur bravo Consalvo Sanesi, riservando all’astro nascente Juan Manuel Fangio la guida della più modesta versione 2500 dei fratelli Bornigia, cha aveva trionfato davanti alle Ferrari al Giro di Sicilia. La Ferrari aveva, invece, puntato sui suoi due piloti da Gran Premio, ovvero Alberto Ascari e Gigi Villoresi ai quali aveva affidato le inedite 275S, dotate del nuovo motore progettato da Aurelio Lampredi, che aveva sostituito, come progettista, Gioachino Colombo a Maranello. Quest’ultimo aveva realizzato un ulteriore evoluzione del suo dodici cilindri rialesandolo a oltre 2300 cc e uno di questi motori era stato montato sulla berlinetta azzurra privata con la quale vinse Giannino Marzotto, mentre un altro fu installato sulla barchetta affidata al campione motociclistico Dorino Serafini, vincitore nel 1939 del titolo europeo delle 500 con la Gilera e secondo assoluto alla Mille Miglia del 1950. Oltre a Giannino Marzotto a questa edizione della gara bresciana parteciparono anche i suoi tre fratelli, tutti al volante di vetture Ferrari, ma solo Vittorio riuscì a tagliere il traguardo in nona posizione assoluta. Memorabile rimane l’arrivo del conte Marzotto che scese dalla vettura dopo 13 ore di guida indossando un doppiopetto di grisaglia “naturalmente Marzotto” con cravatta intonata con il colore della vettura. A Giannino Marzotto resta il record di più giovane vincitore della Mille Miglia. Tra gli sconfitti, il quattro volte vincitore Clemente Biondetti, passato alla guida di una Jaguar ufficiale. La Casa di Coventry aveva individuato nel Giro di Sicilia e nella Mille Miglia degli ottimi veicoli pubblicitari per propagandare le doti delle sue XK120 ai danni delle conterranee Healey, che voleva sfidare sul promettente mercato statunitense.

XVIII Mille Miglia
Coppa “Franco Mazzotti”
28-29 aprile 1951

È un’edizione tormentata dal maltempo e che, nonostante la vittoria di Gigi Villoresi al volante di una berlinetta Ferrari spinta da un motore di oltre quattro litri, conferma la teoria che la vettura ideale per le gare italiane di durata su strada ha una cilindrata di circa due litri. Lo dimostra la vittoria di Vittorio Marzotto al Giro di Sicilia con la stravagante vettura con la carrozzeria dipinta come un carretto siciliano e la meccanica derivata da quella di una Ferrari 212 di poco più di due litri e mezzo di cilindrata. Era questa la polemica risposta di Giannino Marzotto all’ immobilismo progettuale in auge a Maranello per assecondare le idee di Enzo Ferrari. La conferma la si ebbe, poi, dalla prestazione di Giannino Marzotto alla Mille Miglia con il curioso “uovo”, altro scherzo dei Marzotto tirato a Ferrari. Il nobile di Valdagno rimase in testa alla competizione fino al ritiro prima di Pescara, ma il testimone famigliare passò al fratello Paolo che, dopo il settimo assoluto e il secondo di classe al Giro di Sicilia, tagliò il traguardo bresciano in quarta posizione assoluta e primo di classe sempre al volante della sua Ferrari 166. Fu tuttavia un’altra due litri a stupire: la Lancia Aurelia. Dopo aver conquistato con una normale berlina B.10 di 1750 cc il dodicesimo posto assoluto in Sicilia con Ippocampo (Umberto Castiglioni), ottenne con Giovanni Bracco, al volante di una B.20GT praticamente di serie, il secondo posto assoluto alla Mille Miglia, a solo venti minuti dalla Ferrari di Villoresi dal doppio di cilindrata e molto più corsaiola. Anche se le quattro berlinette torinesi iscritte erano ufficiali, Gianni Lancia aveva imposto che esse venissero intestate ai piloti così da negare ogni interessamento della Casa madre alle corse, anche se la presenza in piazza della Vittoria del progettista Vittorio Jano subito svelò la bugia. Dal punto di vista regolamentare vi fu l’ennesimo cambio di percorso, seguendo da Brescia a Roma un tracciato molto simile a quello del 1950, mentre da Roma a Firenze i concorrenti passarono all’interno via Viterbo e Siena. Per attirare, poi, il maggior numero di concorrenti furono istituite ben undici classifiche diverse, creando delle nuove categorie allo scopo di eliminare il più possibile le pastoie tecniche e le ponderose verifiche post-corsa. Fu così soppressa l’inapplicabile categoria “Turismo di Serie”, sostituita  da due basate su diverse interpretazioni della “Gran Turismo Internazionale”. La prima (quella delle cosiddette “Vetture utilitarie”) permetteva tutte le elaborazioni agli autotelai concesse dalla GTI,  ma imponeva le carrozzerie di serie, obbligo decaduto per le “Vetture veloci” che costituivano, così, un inutile doppione delle vetture Sport.

XIX Mille Miglia
Coppa “Franco Mazzotti”
3-4 maggio 1952

Gli organizzatori puntarono ulteriormente ad accrescere il carattere popolaresco e di massa della manifestazione portando a sedici le classifiche stilate per la manifestazione, includendone all’ultimo momento anche una riservata ai veicoli militari, veicoli che poco avevano a spartire con una seria prova di tecnica e di sport. La risposta dei piloti fu, comunque, positiva con ben 501 vetture partite delle 607 iscritte. Tutte le domande erano state accettate senza alcun criterio di selezione, come avveniva in tutte le gare internazionali di pari fama: dal Rally di Montecarlo alla 24 Ore di Le Mans. Questo non significava, tuttavia, una scarsa attenzione degli organizzatori verso la sicurezza, tanto che dall’edizione del 1951 era in vigore l’obbligo dell’uso del casco per tutti gli equipaggi di vetture aperte. La riammissione della Repubblica federale tedesca alla FIA nel 1951 riportò le Case tedesche alle competizioni e tanto la Porsche, che già aveva corso e vinto a Le Mans nel 1951, quanto la Mercedes Benz  iscrissero delle loro squadre ufficiali, preparandosi alla manifestazione con la tradizionale meticolosità teutonica. La Casa dalla “stella a tre punte” si affidò ancora una volta alle strategie di Alfred “Don Alfredo” Neubauer, che già aveva organizzato e diretto la vittoria di Caracciola nel 1931. A guidare, invece, la compagine Porsche era Fritz “Huske” von Hanstein, che aveva lasciato la BMW, con la quale aveva vinto l’anomala edizione del 1940. Dalla Gran Bretagna erano giunti, poi, i team ufficiali della Jaguar, dell’Aston Martin e dall’Healey, mentre dalla Francia le agguerrite squadre della Renault e della Panhard, queste ultime attirate anche dalla speciale classifica all’indice di prestazione introdotta quell’anno. Contro di loro partivano dalla pedana appena inaugurata di Viale Rebuffone le vetture di altrettante sette compagini nazionali, capeggiate dalla Lancia, dall’Alfa Romeo e dalla Fiat, che, per la prima volta, si sarebbero affrontate nella categoria Gran Turismo, classe fino a due litri. La Ferrari, umiliata al Giro di Sicilia dalle Lancia Aurelia B20 nella GTI 2000, aveva preferito iscrivere per la Mille Miglia le sue berlinette 166 tra le vetture Sport per evitare un altro imbarazzante confronto. L’Alfa Romeo, invece, aveva affidato una sua 1900 Sprint Corto Gara al campione del Mondo Juan Manuel Fangio nel tentativo di colmare il divario con le Lancia. La Fiat, invece, era all’esordio con le neonate 8V, molto potenti sulla carta, ma poi inesorabilmente battute sul percorso. La fortuna baciò la Ferrari che aveva dovuto rinunziare prima della gara a Villoresi, Ascari e Farina. Si racconta che la vettura di Villoresi sia stata affidata all’ultimo momento e mal volentieri a Giovanni Bracco, forte stradista, al pari di Biondetti, ma come quest’ultimo dalla vita abbastanza sregolata e pessimo pagatore, per cui non gli viene garantita alcuna assistenza e solo l’ottima sua posizione in classifica generale a Bologna, primo con due minuti di vantaggio sulla Mercedes di Kling, gli permise di godere di un tardivo cambio di pneumatici  da parte dei meccanici della Ferrari.

XX Mille Miglia
Coppa “Franco Mazzotti”
25-26 aprile 1953

La FIA istituisce il Campionato del Mondo Sport, riservato alle vetture conformi all’Allegato C del Codice sportivo internazionale. Si articola su sette prove, cinque delle quali in circuito (12 Ore di Sebring, 24 Ore di Le Mans, 24 Ore di Francorchamps, 1000 km del Nürburgring e Tourist Trophy) e due in linea (Mille Miglia e Carrera Panamericana). Il sistema di punteggio è analogo a quello del Campionato Mondiale Piloti (8-6-4-3-2-1) e i punti sono attribuiti alle prime sei vetture in classifica generale, ma per ogni prova valgono per ogni Marca solo quelli acquisiti dalla prima vettura classificata e per l’aggiudicazione del titolo conta la somma dei punti acquisiti in metà delle prove disputate più una. Grazie anche alla validità per il nuovo campionato, il numero dei partenti salì a 481 equipaggi con la partecipazione di ben sei squadre ufficiali in grado di aspirare alla vittoria assoluta. Alla Ferrari, si aggiunsero, infatti, l’Alfa Romeo, con le berlinette denominate Disco Volante, e la Lancia, che sulla spinta dei successi sportivi ottenuti dalle Aurelia aveva deciso di creare una squadra corse dotandola delle tecnicamente raffinate berlinette D20. Dalla Gran Bretagna giunsero le squadre della Jaguar, che ormai monopolizzava la 24 Ore francese, e dell’Aston Martin, mentre la scuderia Italfrance allineò due Gordini. Unica assente risultò la statunitense Cunningham, che aveva sorprendentemente vinto a Sebring. La rivalità tra Alfa Romeo e Lancia non si fermava alla categoria Sport, ma, anzi, raggiungeva l’apice nella classe 2000 della categoria Turismo, dove alla Alfa Romeo 1900 TI “ufficiose” si opponevano le altrettanto “ufficiose” Aurelia B22, modelli entrambi di altissime prestazioni costruiti specificatamente in un limitato numero di esemplari solo per le competizioni, in evidente spregio con lo spirito della categoria stessa. Non ci dilungheremo, qui, sulle spiacevoli e antisportive polemiche che iniziarono al Giro di Sicilia di quell’anno, continuarono alla Coppa della Toscana, altra manifestazione nata sull’onda della Mille Miglia, e raggiunsero l’acme alla gara bresciana con l’astensione ufficiale della Lancia e il ritiro delle Aurelia per protesta contro l’ammissione delle Alfa nella categoria Turismo. Continuarono anche le polemiche sul gioco delle “X” dichiarate all’ultimo momento dopo il sorteggio. Le case infatti iscrivevano le vetture ufficiali facendo figurare come prima guida il secondo pilota e celando sotto una “X” quello che poi sarebbe stato il primo pilota. Questo fatto permetteva loro di cambiare liberamente l’equipaggio in funzione dell’estrazione a sorte del numero di partenza più o meno favorevole. Notevoli furono gli sforzi sostenuti dall’organizzazione per questa edizione della gara in favore della sicurezza.  Fu reso obbligatorio l’uso del casco in gara per tutti i concorrenti e, per la fattiva collaborazione dei vari Automobile Club sparsi lungo il percorso e per l’imponente schieramento delle forze di polizia, il percorso fu praticamente chiuso al traffico, anche se l’articolo 11 del regolamento di gara continuò a citare tra gli obblighi dei concorrenti quello di “…attenersi scrupolosamente alle norme del Codice della strada che regolano la circolazione su strade aperte in Italia”. In piazza della Vittoria apparve, poi, un colossale tabellone con le classifiche provvisorie a i vari controlli che sostituì quello appeso di fronte al teatro Grande in corso Zanardelli, mentre due troupe televisive, una italiana e una inglese, ripresero tutte le fasi della manifestazione e un noto giornale sportivo bolognese noleggiò un monomotore per realizzare un cinegiornale, riprendendo dall’alto la gara. La gara vide l’attacco delle tre Alfa Romeo ufficiali capeggiate da quella di Consalvo Sanesi che da Brescia a Pescara tenne una media di oltre 175 km/h, precedendo la Ferrari di Farina e i compagni di scuderia Karl Kling e Juan Manuel Fangio. A Roma era primo Kling, dopo il ritiro da Sanesi. Ma un’uscita di strada a Radicofani fermava il pilota tedesco e in testa passava Fangio, seguito da Giannino Marzotto che questa volta si era presentato alla partenza indossando, più sportivamente, eleganti pantaloni e un comodo maglione di cachemire a “V”. Noie allo sterzo rallentavano Fangio sul finale e la vittoria toccava per la seconda volta al nobile di Valdagno, che finalmente riusciva a battere la media record di Biondetti, stabilita nel 1938 su un’altro percorso, ma in condizioni atmosferiche particolarmente favorevoli, come quest’anno.

XXI Mille Miglia
Coppa “Franco Mazzotti”
1-2 maggio 1954

L’11 agosto 1953 moriva a Mantova Tazio Nuvolari e in ricordo del grande Campione del Volante, gli organizzatori decidevano di modificare ancora una volta il percorso, facendo passare i concorrenti per Mantova, nel tragitto finale di ritorno da Cremona a Brescia. Veniva anche istituito il Gran Premio Nuvolari  sul medesimo percorso che avrebbe premiato i più veloci su quel tratto di 132 km. Curiosamente con quest’ultima modifica, il tracciato divenne di 1.597 km, più corto di circa dieci chilometri delle fatidiche mille miglia, e non subì più modifiche nelle restanti tre edizioni fino al 1957. Altra grande novità regolamentare fu l’abolizione del secondo pilota, in parte giustificata con la riduzione dei tempi che si erano ormai quasi dimezzati rispetto alla prima edizione. La validità per il Campionato Mondiale Sport portò ancora una volta le squadre ufficiali a partecipare alla gara bresciana, ma la presenza si ridusse alla Ferrari, alla Lancia, alla Aston Martin e a quella di una sola Gordini. La gara si risolse in un monologo della Lancia che con Piero Taruffi portò la media record sul tratto Brescia-Pescara a oltre 177 km/h e giunse primo a Roma a quasi 159 km/h di media. Purtroppo tra Roma e Viterbo Taruffi ebbe delle noie meccaniche e fu costretto a cedere la testa della gara al compagno di scuderia Alberto Ascari, che tagliò per primo il traguardo di Brescia.

XXII Mille Miglia
Coppa “Franco Mazzotti”
30 aprile – 1 maggio 1955

È l’edizione più nota di tutte le Mille Miglia disputate, in quanto fu l’edizione dei record. In primo luogo per il numero di partenti: ben 521 per premiare i quali Castagneto aveva previsto ben 12 classifiche ufficiali più altrettante speciali sempre ufficiali, più un paio del tutto arbitrarie aggiunte all’ultimo momento. Se questa politica aveva ripagato in termini economici l’organizzatore, aveva iniziato a creare dissensi tra i tre creatori della Mille Miglia rimasti. Canestrini nell’imminenza della gara fece, infatti, sentire il proprio disaccordo, scrivendo a favore di un ritorno alle origini, quando vi erano solo cinque classi, e di una contrazione del numero di partecipanti, privilegiando la qualità dei concorrenti  e contrastando le spinte demagogiche che stavano trasformando la manifestazione in una sagra paesana. Come già nel 1931, la Mercedes Benz contribuì a salvare la gara. Vincendo, infatti, fornì quella credibilità internazionale che si stava appannando. Ma altrettanto merito deve essere accordato a Stirling Moss e a Denis Jenkinson che prepararono un dettagliatissimo “radar”, scritto su una striscia di carta lunga oltre 5 metri che si svolgeva da un rullo per avvolgersi su un altro, entrambi disposti parallelamente in una scatola. “Jenks” man mano che procedevano nel percorso, avvolgeva contemporaneamente la striscia leggendo le note corrispondenti e comunicandole a Moss con dei segni convenzionali della mano. È forse poco noto che questo metodo fu preferito all’interfono tra pilota e co-pilota che la Mercedes aveva realizzato ma le cui comunicazioni spesso non venivano comprese dal pilota troppo assorto nella guida. Il risultato di questa metodica preparazione fu eccezionale: Moss vinse la gara alla media record di 157,650 km/h, segnando anche i nuovi record sui tratti Brescia-Pescara (189,981 km/h) e Brescia-Roma (173,050 km/h), oltre che sulla Cremona-Brescia (198,464 km/h) del gran Premio Nuvolari. La classifica all’indice di prestazione, normalmente premio di consolazione per le piccole cilindrate, lo vide nuovamente dominare davanti al compagno di squadra Juan Manuel Fangio, secondo assoluto e distanziato di oltre mezz’ora al traguardo. La sconfitta dell’industria automobilistica italiana fu, invece, completa e in tutte le classi che annoverassero vetture concorrenti di Marca straniera. Particolarmente bruciante fu la vittoria  della Porsche sia nella classe fino a 1300 Gran Turismo a danno delle nuove Alfa Romeo Giulietta Sprint, sia nella Sport fino a 1500. La Mercedes si aggiudicò con l’americano John Fitch anche la categoria Gran Turismo, ma, unica scusante, la Ferrari non era riuscita ancora a fare omologare sportivamente in Gran Turismo le sue berlinette tipo 250 in tempo per la gara.

Nel 1957 una Ferrari 335 S fu coinvolta in un incidente sulla Goitese nei pressi di Guidizzolo (ma nel territorio comunale di Cavriana), in provincia di Mantova, causato dallo scoppio di uno pneumatico, che costò la vita al pilota spagnolo Alfonso de Portago, al navigatore americano Edmund Gurner Nelson, e a nove spettatori.
Dal 1977 la Mille Miglia rivive sotto forma di gara di regolarità storica a tappe la cui partecipazione è limitata alle vetture, prodotte entro il 1957, che avevano partecipato (o risultavano iscritte) alla corsa originale. Il percorso Brescia-Roma-Brescia ricalca, pur nelle sue varianti, quello della gara originale mantenendo costante il punto di partenza/arrivo in viale Venezia all’altezza dei giardini del Rebuffone.
L’edizione 2019 è stata vinta dalla coppia Moceri – Bonetti su un’Alfa Romeo 6C 1500 SS di proprietà del Museo Storico Alfa Romeo.

LA MOSTRA CON LE VETTURE DELLA SCUDERIA DEL PORTELLO PRESSO “IL CENTRO”
ARESE (9-26 maggio 2019)

Crediti TESTI E IMMAGINI:
1000 Miglia srl
Archivio Museo Mille Miglia
Centro Documentazione Museo Storico Alfa Romeo
Archivio Scuderia del Portello
Renzo Carbonaro

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